lunedì 8 febbraio 2010

A caccia di grilli e serpenti



Oggi mi sono sentita dare della matta. Non è mica la prima volta, e direi che porto l'appellativo con una punta di orgoglio. Il mio ex, dalla deliziosa cadenza romanesca, mi chiama affettuosamente “a matta”. Salvo scordare che quando stavamo insieme usava farcire le discussioni con uscite meno eufemistiche del tipo: “Ma te devi fa' curà da uno bbravo però!”.

Fatto sta che la risposta odierna alla domanda “ma in che senso matta?” E' stata piuttosto vaga e confusa. Il concetto di base, però, pare essere l'imprevedibilità, l'essere fuori dalla normalità, ergo: essere fuori dagli schemi, dalle norme, dalle regole.
Chi abbia stabilito poi, quali siano le norme e se esse siano giuste o meno, è ancora da chiarire.

Il fidatissimo etimo.it mi fa derivare il termine dal provenzale matou: vano, stolto, demente. Ma anche dal gotico medus, ovvero inebriante. A seguire quindi, i termini ubriaco e folle.
Il participio passato della parola finlandese meiddr, significa invece urtare.
E ancora ubriaco, insensato.

Il matto, quindi, etimologicamente parlando, sarebbe colui che, con atteggiamento ubriaco, insensato, va ad urtare, a cozzare.
E urta eccome! Il matto urta i nervi, la nostra capacità di sopportazione, il “normale” corso delle cose che tanto ci tranquillizza.

Il matto urla quando ci hanno insegnato che nn si deve urlare, il matto dice cose, a nostro parere, senza senso, il matto si arrabbia quando a noi sembra tutto così ovvio, così naturale. Il matto dice cose non solo senza un senso apparente, ma inaudite!
E l'inaudito è anzitutto il “mai udito”, qualche cosa, forse, che spesso non vogliamo ascoltare, non vogliamo neppure sentire!
E il “normale” è la norma, la regola. E si sa, chi contravviene alle “regole” non fa parte della società a cui appartiene.
Il matto è il primo anarchico perchè delle regole se ne fotte (No, Berlusconi non è assimilabile a tale definizione perchè lui, le regole, se le fa pure pubblicare in Gazzetta).
Il matto è colui che ha capito che le regole, forse, possono essere messe in discussione.

Il matto, nei tarocchi, è spesso raffigurato come un giullare. Il fool.
E chi, nel teatro shakespeariano, può permettersi, attraverso un linguaggio acuto e l'alibi della “recita” di smascherare, criticare e sbeffeggiare le prassi e le ipocrisie della corte? Di insinuare dubbi non solo nei personaggi (regnanti), ma anche nel lettore/spettatore?

Non per niente, in un mondo in rovina come la corte/mondo di Elsinore, non rimangono che le ossa del fool di corte. Il teschio di Yorik è tutto ciò che resta della capacità di critica nella società, ormai corrotta. Visione apocalittica: immaginate un mondo senza satira? Immaginate un mondo senza capacità di critica? Immaginate un mndo senza Zelig (mi spiace, Satyricon di Luttazzi non è più disponibile come esempio convincente)? Fose però anche in questo mondo, la critica ha i suoi modi, i suoi tempi, le sue categorie già istituzionalizzate. Non per niente Lenny Bruce fu arrestato diverse volte e diverse volte venne preso per “matto, a dire certe cose!”.
Daniele Luttazzi è matto.

E il matto del villaggio, quello che vaga per la città parlando da solo, magari con una giacca militare troppo larga per le sue spalle gracili e dei pantaloni in pile che non arrivano alle caviglie?
Sì veste di merda, ok. Ma se a lui andasse bene così? Se a lui non fregasse nulla del monopetto Armani o della giacchina nera con la fascetta rossa? E magari ciò che ha da dire non è affatto sciocco, senza senso.

E la matta che esplode in grida isteriche per chissà quale reazione emotiva e sveglia tutto il vicinato? Ed è normale che poi si scappa, perchè ci hanno insegnato a non urlare, a dire le cose che pensiamo con calma. E se fossimo noi, gli stronzi, che non capiscono proprio quello che la matta vuole dirci? E allora è naturale che esploda.

De Andrè cantava “Tu prova ad avere un mondo nel cuore - e non riesci ad esprimerlo con le parole”. No, non si tratta di una canzone d'amore, non nel senso pop del termine se non altro.
Il sottotitolo di questa canzone è “Dietro ogni scemo c'è un villaggio”.

Dietro ogni matto c'è la società ed il suo insieme di regole che lo definiscono tale.
Chissà cosa direbbe la persona che stasera mi ha definita matta, se sapesse che in aula studio ci andavo in pigiama!

5 commenti:

  1. Geniale è poco, non ho tempo ma ritorno :-*

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  2. rieccomi :-) è sottinteso che approvo e condivido di cuore di pancia e di pelle tutto ciò che hai scritto :-)
    Mi viene in mente un piccolo giochino da fare con i bimbi:l'urlo...e nulla ha a che fare con Munch. Praticamente al mio via devono urlare, con tutto il fiato che hanno in gola...una bomba colossale, da tapparsi orecchie e naso...e quando rifischio devono cessare di colpo...l'ultimo che rimane ad urlare perde. Un urlo a comando insomma, ma liberatorio. Sai, mi vengono in mente i bambini (ghghghh) proprio perchè loro se ne infischiano delle regole, vivono a mezz'aria, tra castelli dragoni e fatine e se io dico loro che devo tornare nel mio mondo fatato perchè la suprema regina mi attende...beh..loro ci credono ...ma ci credono così tanto che convincono anche me, che quasi credo di poter volare. Sì, ti soffiano fantasia e ti gonfiano come un palloncino d'elio, con i bimbi si rimpara a volare.
    E cosa fanno i MATTI? Volano, non hanno disimparato a volare, non sentono le regole i muri gli estremi, sono a metà, nè dentro nè fuori. Anzi, vedono molto di più...

    I clown ad esempio, perchè fanno tanta paura, perchè danno quella sottile mestizia? Perchè vengono da un altrove, dimenticato dagli uomini e si ripresentano come creature penetranti, piene di tutto ciò che non hanno voluto accettare.

    Orgoglio Matto.

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  3. ehm quella sopra sono io , ho fatto del casino :P

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  4. ehi, ma sai che io andavo in autostrada a urlare con un amico che se n'è andato qualche anno fa??

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  5. si...me lo avevi detto...mi è scoccato lì il pensiero :-)

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